#Senso di colpa CoVID-19

04.12.2020

Capita di frequente che, in questo periodo storico, si possa essere vittima di contagio da Covid-19. Dopo aver avuto il tampone positivo, quali sono le emozioni che affiorano? Ansia, paura che la malattia si aggravi, paura della morte?

Non solo, spesso coloro che hanno contratto il Covid, e che magari hanno contagiato i loro familiari o le persone a loro vicine, provano un forte senso di colpa. Questo è uno degli stati emotivi più riportati in queste situazioni. Spesso le persone affermano di non avere tanta paura di contrarre il virus in sè e per sé, ma solo il pensiero di dover comunicare alle persone con cui è venuto a contatto che potrebbe averle contagiate le scoraggia e le atterrisce.

Cos'è il senso di colpa?

In termini di dinamiche psicologiche, il senso di colpa è un sentimento umano che ha una chiara connotazione morale. Questo è collegato alla colpa intesa come il risultato di un'azione, o di un'omissione, per cui il soggetto si identifica come colpevole. Il senso di colpa ha implicazioni molto articolate, poiché può portare l'individuo a biasimare fortemente sé stesso, ma anche a pensare di essere malvisto e respinto dalla società proprio perché "colpevole".

Ma perché, se magari non si è neanche consapevoli di aver contratto il virus, ad esempio perché sono state prese tutte le precauzioni che le regole ci impongono, ci sentiamo così colpevoli?

Lo stigma sociale

Probabilmente sono le campagne di prevenzione, che vengono diffuse quotidianamente in TV e sui social, che inviano un messaggio netto sulla responsabilità personale e sull'importanza dei comportamenti del singolo. Può accadere inoltre che, una volta diffusa tra i conoscenti la notizia che il soggetto abbia contratto il virus, siano proprio questi a farlo sentire responsabile, mettendo in atto condotte di esclusione e di isolamento.

Tutto ciò può condurre all'autocolpevolizzazione e al rimuginio sulle situazioni in cui si sospetta di essersi contagiati, ripercorrerendo gli eventi per capire dove e come ci si sarebbe potuti comportare diversamente.

Attenzione però: sebbene la colpa sia un'emozione, avente come scopo quello di mettere in guardia dagli eventi presumibilmente pericolosi, la sua cronicizzazione può diventare patologica. Se ciò si realizza, occorre porre in discussione il modo di affrontare le situazioni e, soprattutto, i propri pensieri e comportamenti, assumendosi, se necessario, le proprie responsabilità ed arrivando anche a mettere in discussione il proprio modo di pensare.

Ma quali sono le reali responsabilità di una persona che contrae il Covid?

Spesso non ci sono responsabilità oggettive. Possono esserci senza dubbio soggetti che non seguono le linee guida anti-contagio indicate dal governo e dal Ministero della Salute, ma poiché questi individui probabilmente non hanno percezione del pericolo che rappresentano per se e per gli altri, inclusi i propri familiari, è molto probabile che essi non proveranno alcun senso di colpa.

Coloro che invece hanno seguito le direttive governative e sono stati alle regole, indossando la mascherina ed evitando gli assembramenti, non hanno invece una responsabilità oggettiva. Semplicemente possono essere stati vittima di una casualità, come spesso succede.

In questo secondo caso, il sentirsi colpevole deriva dalla difficoltà di accettare la propria imperfezione, e quindi la possibilità di sbagliare, nonché dalla riluttanza a mettere in dubbio il proprio senso di autoefficacia. Dietro il senso di colpa, infatti, può celarsi una presunzione di controllo totale su se stessi e sull'ambiente circostante; presunzione che nei casi più gravi può degenerare in un vero e proprio senso di onnipotenza. In questi casi, l'individuo è indotto a leggere il contagio come risultato delle proprie azioni anche laddove di fatto questo non lo è.

Quanto appena detto può concretizzarsi in un perenne stato ansioso e in un tono depressivo dell'umore o, a lungo andare, in una depressione vera e propria, con sentimenti di impotenza e perdita di speranza. E' persino possibile il ritiro sociale e la compromissione di molti aspetti della vita, in un periodo già molto difficile e in cui la vicinanza con le persone è rara e difficile.

Come si può uscire da tutto ciò?

Prima di tutto si dovrebbe partire dall'accettazione del proprio stato attuale, anche dei sentimenti negativi ad esso correlati. Questi sentimenti negativi vanno riconosciuti, elaborati ed accettati, solo da qui si può partire per l'inizio di un cambiamento. Bisogna anche accettare di non poter avere sempre il controllo, né su noi stessi, né sugli altri e sull'ambiente circostante.

Altro passo importante è combattere il rimuginio, il continuo rivivere la situazione che può averci esposto al contagio, o le nostre azioni a riguardo. Questo non fa altro che rafforzare il disagio psicologico, l' ansia, la sensazione di impotenza, e amplifica l'attenzione selettiva nel rilevare eventuali errori nella situazione, errori a cui, tra l'altro, non si può più rimediare.

Questi processi possono essere attuati, con l'aiuto di un esperto, al fine di portare l'individuo in questione a "perdonarsi" per l'accaduto, ad affrontare lo stato depressivo che ne consegue e anche portare i familiari e chi gli sta intorno ad avere un atteggiamento inclusivo e comprensivo della sua sofferenza psicologica.  

dott.ssa Francesca Castellano