#Separazione e Bigenitorialità
Quando si mette la modo un figlio avviene un cambiamento, un passaggio da una dimensione di coppia a quella della genitorialità. Dunque non si è più solo membri di una coppia, ma ormai di un progetto genitoriale che andrà a buon fine solo riuscendo a negoziare i ruoli e le responsabilità.
L'attuazione di una cura genitoriale responsabile e condivisa, dipenderà quindi dalla capacità di ciascun genitore di "integrarsi" con l'altro, cooperare pur svolgendo una funzione distinta, dal momento che le interazioni madre-figlio e padre-figlio si differenziano tra loro.
La madre ha l'essenziale funzione di fornire al bambino una base sicura, caratterizzata da affetto, dedizione e cure costanti ed adeguate, al fine di farlo sentire protetto. Tale protezione arriverà anche a stimolare l'autonomia e l'esplorazione dell'ambiente circostante, essa, infatti, rappresenterà sempre "un porto sicuro" dal quale il figlio potrà partire, proprio perché certo di potervi tornare.
Parallelamente, il padre offre al figlio la possibilità di riconoscerlo e differenziarlo dalla figura materna, ha una importante funzione all'interno della triade,poiché una sua caratteristica fondamentale è proprio quelladi fungere da "mediatore" nel processo di separazione madre-bambino. La costruzione di una relazione significativa, sicura e costante con la figura paterna, favorisce quindi sia lo sviluppo emotivo del bambino, sia il suo adattamento sociale.
Attualmente le mutate condizioni socioculturali degli ultimi decenni, hanno avuto un grande peso nella ridefinizione del ruolo paterno, ormai le madri lavorano a tempo pieno come i padri, dunque costoro sono maggiormente coinvolti anche nelle cure primarie dei figli; parallelamente, il forte incremento dei casi di separazione e divorzio, ha fatto sì che un numero sempre maggiore di papà, si ritrovasse a far fronte a compiti di accudimento che un tempo erano prerogativa delle mogli.
Alla luce di questo, il delicato e complesso principio della bigenitorialità, negli ultimi anni tanto citato e discusso rispetto ai casi di separazione coniugale, appare quindi ascrivibile anche alle coppie coese, proprio perché anche in queste è fondamentale che vi sia una pariteticità nella crescita dei figli.
Cos'è la bigenitorialità?
Il principio di bigenitorialità non implica che il minore trascorra lo stesso tempo con entrambi i genitori, ma che questi partecipino attivamente e in egual misura al progetto educativo, di crescita e di assistenza della prole, in modo da creare un rapporto equilibrato che in nessun modo risenta dell'evento separazione.
Questo giustissimo e condivisibile principio purtroppo non garantisce, all'atto pratico, che la coppia genitoriale sappia gestirsi seguendo questi valori e continui a collaborare anche dopo la fine del matrimonio.
Arrivati a questo punto l'esercizio di una "genitorialità reciproca" implica un grande impegno emotivo da parte di entrambi i genitori e la capacità di mettere al primo posto il benessere dei figli, al fine di proteggerli dagli effetti negativi della rottura della famiglia.
Tornando ai concetti espressi precedentemente, ormai la dimensione di coppia deve essere messa da parte, ma permane quella della genitorialità che deve essere coltivata e preservata.
La verità è che l'evento separazione mette in pericolo un intero sistema di relazioni e di ruoli ben stabiliti, per cui, ripristinare gli equilibri, può risultare davvero complesso e faticoso.
Effetti benefici sul bambino
La bigenitorialità, secondo molte ricerche, ha effetti benefici su molti aspetti di sviluppo del bambino a partire dallo sviluppo cognitivo, lo strutturarsi della personalità, il bambino cresciuto da due personalità differenti ha la possibilità di confrontarsi con due modelli, avendo la possibilità di assorbire caratteristiche dell'uno e dell'altro.
Sostanziale è anche la qualità del legame affettivo: un bambino i cui genitori hanno preservato reciprocamente la figura dell'altro genitore, può coltivare un legame equilibrato con entrambi, ma un figlio che subisce l'allontanamento di uno dei genitori, può sviluppare dentro di sé un forte senso di insicurezza che potrebbe estendersi anche rispetto al genitore presente. In un quadro simile, il minore, avendo come unica fonte di appoggio il genitore affidatario, potrebbe maturare un forte timore di perderlo e piegarsi quindi totalmente al suo volere, creando con esso un legame affettivo succube e sottomesso, in grado di compromettere non solo lo sviluppo emotivo del figlio, ma anche e soprattutto la costruzione della sua personalità, identità e indipendenza.
La mancanza di equilibrio tra genitori separati può portare patologie nel minore?
L'elemento potenzialmente patologizzante, nelle vicende separative, non è tanto la separazione in sé, ma il tipo e la qualità di relazione che caratterizza le coppie che scelgono di lasciarsi e che investe, di conseguenza, i minori: il fattore preoccupante è quindi principalmente connesso alla perdita di un genitore, spesso del padre, e di conseguenza alla deprivazione delle funzioni genitoriali che gli competono.
Uno dei maggiori rischi connessi alla mancata accettazione dell'affido condiviso, è che i figli vengano usati come strumento di vendetta nei confronti dell'ex-coniuge, ancora una volta la dimensione genitoriale qui viene messa da parte, non è più la tutela del bambino ad essere la principale preoccupazione, ma il vendicarsi, il ferire l'altro, il sottrargli l'affetto del figlio.
Il bambino viene così manipolato finisce così per dare forma concreta alla tesi di uno dei genitori in modo attivo, ovvero, disprezzando egli stesso l'altro genitore e mostrando nei suoi confronti atteggiamenti ostili, fino al rifiuto della relazione con lui.
Il figlio al quale, anche in modo inconsapevole, il genitore chiede alleanza, è coinvolto emotivamente con entrambi i contendenti.
Mentre i propri genitori si accusano coltivando il proprio rancore, il bambino si torva triangolato tra l'accusatore e l'accusato, ma è in un vicolo cieco: qualunque posizione prenda perderà una figura di riferimento.
Si possono immaginare tre scenari:
- il bambino empatizza con la sofferenza del genitore " vittima" e ci si allea, ma dovrà giustificare dentro di sé le e mozioni negative che prova per l'altro genitore e l'immagine negativa che ha di lui;
- se è portato a salvare la sua relazione col genitore "cattivo" dovrà darsi una giustificazione al suo comportamento, questo potrebbe portare a pensare che l'altro genitore si meriti il torto subito o dica bugie; - qualora il bambino disinvesta su entrambi i genitori si sentirà solo, non sufficientemente amato poiché arriverà a capire che i genitori sono più impegnati a farsi reciprocamente del male che a tutelarlo.
Le diverse modalità di come il bambino reagisce alle triangolazioni saranno probabilmente predittivo del suo modo di vivere le relazioni in futuro.
Potrà diventare sospettoso, diffidare dei motivi che portano le persone a comportarsi in un cento modo, oppure potrà provare spesso rabbia e aggressività, si attiverà il suo sistema agonistico o di difesa, innescherà continui scontri sia con i pari che con le figure autorevoli. Infine potrebbe anche sviluppare un comportamento passivo, determinato dall'esperienza di fallimento che ha vissuto quando ha cercato di risolvere i conflitti, che le sue risorse di bambino non sono state in grado di gestire.
Che succederà tra le mura di casa?
Alla luce delle problematiche relazionali precedentemente sottolineate, il figlio in questione può sperimentare vissuti di rabbia e incomprensione.
Il clima di tensione in casa, vedere i genitori in difficoltà, sentire discorsi e questioni che esulano dal suo controllo, all'inizio lo porterà magari al peggioramento dei voti scolastici. Avrà difficoltà di concentrazione, nonché a gestire i suoi stati emotivi. Magari nello sport avrà difficoltà a vivere la frustrazione, tutta questa rabbia lo porterà ad avere difficoltà ad interagire con i coetanei. Gradualmente questo potrebbe portarlo a lasciare lo sport, ad avere difficoltà ad andare a scuola, la diffidenza nei rapporti interpersonali lo porterà all'isolamento sociale.
Dove interviene la terapia domiciliare?
L'accesso del minore allo studio di uno specialista in questi casi può risultare faticoso, se non proprio impossibile. La sua volontà è quella di non interagire più col mondo esterno poiché, alla luce del fatto che non si sente al sicuro neanche tra le mura di casa, il mondo fuori viene percepito come maggiormente pericoloso.
In questa fase l'intervento di uno psicologo domiciliare può aiutare sia il figlio che l'intera famiglia nella gestione della difficoltà. La prima fase potrebbe essere quella di interfacciarsi con i genitori, per indagare al meglio le dinamiche relazionali che il minore deve affrontare quotidianamente.
Lo psicoterapeuta si immergerà nel contesto familiare e domiciliare col proposito di portare il giovane paziente a studio. In questo caso in prima battuta elemento sostanziale è porsi come elemento esterno, che non ha creato alleanza con nessuno, l'unico con cui vuole allearsi è proprio lui, per aiutarlo ad uscire dalla difficoltà di cui si sente prigioniero.
dott.ssa Francesca Castellano